17/07/13

IL LIVELLO DELLE ASPETTATIVE E LA SOFFERENZA MENTALE

[...] La maggior parte di noi affronta la vita con determinate aspettative, o se le crea strada facendo. Ci aspettiamo prima di tutto la salute, poi riteniamo perfettamente normale aspettarci di essere amati dalle persone che amiamo, ci aspettiamo poi di incontrare l’amore con la A maiuscola, inoltre noi stessi desideriamo essere eccezionali, unici, intelligentissimi, originali, ricchi, colti, eccetera. Forse stiamo un poco esagerando è vero, ma siamo sinceri, non siamo poi così lontani dalla verità sulle nostre elevatissime aspettative sulla vita. Questi (od altri) livelli di aspettative vengono però il più delle volte pesantemente disattesi; a volte possiamo serenamente accettarlo nel nostro intimo, e allora i danni sono minimi, ma altre volte non ce la facciamo, si rompe qualcosa al nostro interno e diciamo ”no, questo no”. Possono essere cose gravissime come la scomparsa di persone vicine, la morte di un figlio, gravi infermità, cose cioè che non rientrano in quanto noi siamo normalmente disposti ad accettare nel nostro inconscio. Oppure possono essere situazioni apparentemente più leggere, come una delusione amorosa, un tradimento di un amico, qualcosa che però alla persona che lo subisce appare insopportabile. Questo è un aspetto interessante, da tenere ben presente: situazioni diverse, eventi di gravità molto diversi, possono produrre gli stessi effetti mentali, mentre eventi simili non sempre causano uguali reazioni e danni. Ciò è dovuto al differente livello di aspettative che le persone hanno nei confronti della vita. La caduta delle aspettative che, consciamente o inconsciamente, abbiamo circa la nostra vita, ha a che fare con il nostro concetto di sopravvivenza. Nel caso in cui l’evento sia fisicamente perturbativo, tutte le menti, tendenzialmente reagiscono in modo simile: è oggettivamente il rischio di sopravvivenza fisica che è in gioco. Quando invece l’evento è completamente nella sfera mentale, è soggettivamente coinvolta l’idea della qualità della sopravvivenza. Questa soggettività investe l’idea stessa di come deve esser la vita della persona. Ciò che ci aspettiamo di realizzare è in realtà ciò che ha potere su di noi. Nella misura in cui desideriamo avere certe cose, raggiungere certi risultati, diventare ciò che sogniamo di diventare (ricchi, laureati, dirigenti, belli, ammirati, sposati, amati, eccetera.) siamo in potere di questi desideri, fino a quando non siano stati soddisfatti o fino a quando non si cessi di desiderarli. Probabilmente alcuni, si sentiranno colpiti da queste considerazioni: ”come, dovrei rinunciare a desiderare quella posizione professionale, quella persona, quell’auto, quel denaro? Ma non riuscirei più a vivere! Che senso ha la vita senza un obiettivo? Che gusto ci sarebbe?” In realtà le cose non stanno proprio così: l’idea di non riuscire a vivere senza impellenti desideri è appunto un’idea, nulla di più che un’idea. Provate a pensare ad un desiderio che non avete: se per esempio non vi interessa diventare un musicista, vi sentite forse tristi o insoddisfatti o infelici rispetto all’idea di non diventare musicisti? Influenza in qualche modo il vostro stato d’animo? No, vero? Provate a seguire questa situazione simulata, e forse la cosa vi sembrerà più chiara. Immaginate di fare una tranquilla passeggiata nel verde di un piccolo parco in una bella e fresca mattina di primavera; immaginate di prendere in considerazione l’idea di diventare (se in realtà non vi interessa) un valente violinista, e di prendere in considerazione il concetto che non ci riuscireste mai: la cosa vi sconvolge? Vi sentite turbati, tristi, infelici? Forse non vi accorgete più della bella giornata che vi circonda? Non apprezzate più la freschezza della brezza mattutina? Non apprezzate più il verde dei prati intorno a voi? No, in realtà non cambia il vostro stato d’animo, e non venite turbati affatto, perché quell’idea non è un vostro desiderio, una vostra pulsione, una vostra passione. Rimarreste comunque sereni e contenti. Volete una controprova? Provate a seguire quest’altra “simulazione”. Provate a pensare a qualcosa che volete realizzare e a cui tenete molto, moltissimo; qualcosa che “avete nel sangue”, che rappresenta per voi tantissimo: ipotizziamo che sia qualcosa che riguarda solo voi stessi e non qualcuno della famiglia, che sia cioè qualcosa che soddisfi il vostro ego, poniamo per esempio che sia la vostra promozione a quella posizione di responsabile a cui mirate da tanto. Bene, siete lì che state passeggiando nel piccolo parco, tranquilli e di buon umore, godendovi la giornata splendida. Anzi la giornata è ancor più splendida perché state pensando che nel lavoro state andando bene e che il capo in testa vi “vede” bene. Quel posto di responsabile è vicino, davvero vicino. Ad un tratto un pensiero, una considerazione, una cosa che vi era sfuggita: avete improvvisamente ricordato che il capo in testa che decide della vostra promozione, ha appena avuto un figlio e sua moglie, che risiede in un’altra città, ha sempre protestato per la vita da pendolare che fa il marito; e lui circa un anno fa, a quel pranzo, vi aveva confidato che se avesse avuto un figlio, lui avrebbe scelto di stare vicino a sua moglie e l’avrebbe finita con quella vita; aveva già dei buoni agganci presso la sua città e avrebbe lasciato l’azienda. Ma se questo accadesse il suo posto lo prenderebbe quel tirapiedi dell’altra divisione che non vi può vedere! E se questo accadesse, a quel posto che spetta a voi ci andrebbe il suo pupillo! Pensereste: sono fregato! Quello diventerebbe il mio capo, ed io rimarrei dove sono adesso. A questo punto pensate che riuscireste ancora a godervi la giornata? Riuscireste ad accorgervi ancora della bella fresca mattina e del piccolo parco in fiore? Questo è il potere che il livello delle aspettative ha sulla psiche. Il livello di aspettative determina una serie di condizioni mentali a cui la persona si assoggetta, dando a queste potere sulla mente stessa, e quindi sulla psiche della persona. Tale potere è in grado di rovinare un’esistenza [...] tratto da "LA PSICOANALISI DEL BUDDHA E IL PECCATO ORIGINALE"

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