18/11/13

AFFRONTARE IL NOSTRO INFERNO

Quando la nostra vita scorre serenamente ci sentiamo in pace con noi stessi è ci illudiamo di aver trovato il giusto equilibrio... ma per sapere se veramente il nostro equilibrio sia vero e solido dobbiamo attraversare “l'inferno”. Solo l'inferno può dirci quanto sia vero il nostro equilibrio e quanto paradiso c'è in noi. (l’effimera)
Questo concetto è denso di verità. Essere sereni quando tutto o quasi va bene è fin troppo facile…Salute, lavoro, famiglia, tempo per divertirsi, vacanze e gite, soddisfazioni sul lavoro, energia e voglia di fare. La vita sorride e ci sorride. Se non si riesce ad essere in pace con se stessi in queste condizioni, allora abbiamo davvero qualcosa che non va. Ma non sempre è così, anzi non lo è quasi mai. Malattie, problemi, genitori anziani e malati, figli conflittuali, mancanza di lavoro, persone problematiche con cui abbiamo a che fare, incidenti, imprevisti, problemi relazionali, mancanza di soldi… La gamma delle cose che possono non andare bene nella vita è molto vasta. Se ognuno dovesse decidere di essere sereno ed in pace, felice, quando tutto questo dovesse andare bene, secondo i nostri desideri, nessuno sarebbe felice, Se non forse per pochi attimi, qualche anno per i più fortunati. La domanda viene naturale: tutta qui la vita? Se usiamo questo schema per valutare la vita, ne avremo molte di delusioni. Garantito. E ne perderemmo davvero il senso. In verità ciò che noi vogliamo e desideriamo dalla vita, ciò che agogniamo che bramiamo, lo decidiamo noi. Siamo noi che poniamo i paletti della nostra soddisfazione e felicità. Siamo noi che decidiamo che se non facciamo quel lavoro abbiamo fallito, che se non raggiungiamo quel reddito non siamo di valore, che se non abbiamo non solo una salute perfetta, ma anche un perfetto look, non siamo “ok”. Tutte queste cose ci mettono nella condizione di non essere mai sereni. Ma la vita spesso ci presenta il conto e lo fa come un ristorante extra lusso…. Spesso ce lo presenta salatissimo. E comincia l’inferno. Succede quando una diagnosi ci dice quella cosa che non volevamo nemmeno pensare; succede quando il responsabile del personale ci dice che non hanno più bisogno di noi; succede quando chi contavamo di avere a fianco per sempre, ci dice che è finita. Succede quando ci viene portata via una persona fondamentale nella nostra vita. A questo punto abbiamo una scelta secca: o rifiutiamo la croce che ci è capitata addosso o la accettiamo. Altro non possiamo fare. La maggior parte comincia a lottare: per la sua salute o per quella dei suoi cari, per il nuovo lavoro che si deve trovare, per recuperare una persona che ci abbandona o per trovarne un’altra. Ma combattere è sempre una sofferenza….ce la farò? Non ce la farò? Tornerà o non tornerà? Devo fare questo devo fare quello, devo riuscire, devo farcela. Ed ansia e preoccupazioni e dolore. A volte ci si riesce, almeno parzialmente, altre volte no, le circostanze sono avverse, completamente. Succede quando il male è inesorabile, quando il lavoro non c’è proprio più, quando non siamo più amati da chi vorremo ci amasse. Quando questo avviene…si perde. E si sprofonda...giù, giù, giù. Poi ci si ferma. Non c’è più nulla da fare. Abbiamo perso. Siamo in fondo al pozzo….e le pareti sono inscalabili, lisce e scivolose, troppo lisce e troppo scivolose. E’ l’inferno. Tutto ciò che potevamo fare è stato fatto. Smettiamo di combattere. Cosa ci resta? Accettare. E andata così, va bene anche così. Ecco l’illuminazione: va bene ANCHE così. Va bene così. Fine della guerra….E una scala scende dalla cima del pozzo. Abbiamo trovato un gancio in mezzo al cielo. Ora nessuno potrà più distruggerci. Siamo andati Oltre. La felicità. Comunque.

29/10/13

LA VIA VERSO LA LIBERTA' PSICOLOGICA E SPIRITUALE

La via verso la libertà psicologica e spirituale ha come obiettivo la divinità-salvezza (salvezza ha la stessa radice di salute). Ricordiamoci che Gesù disse “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli.” Quindi l’obiettivo è ambizioso: essere come Dio, essere in Dio. Ma questa via si può percorrere se è la via del Cristo, cioè attraverso l’umiltà e il raggiungimento di una stabile capacità di armonia con sé e gli altri, in un parola Amore. Via che è anche la via del Buddha, di Sri Aurobindo e Mère, di Babaj, Yogananda ecc. Per intenderci non è la via di Nietzsche né quella di Rasputin. Ora se l’obiettivo è addirittura Dio, va da se’ che Dio non ha ( o non dovrebbe avere) dubbi, angosce, paure, risentimenti, depressione, panico. Né dovrebbe avere problemi a fare miracoli, o ad amare tutto il creato. Quindi per logica, passo passo, la via che ci è chiesto di intraprendere è quella che porta lì, a quei livelli. Possiamo non riuscirci? Certo, ma ciò che conta è la direzione che si prende e non dove si arriva. Perché fino a quando la direzione non è definita…si rischia di perdersi. Per cui ogni nostra “menata” mental-psico-esistenziale, è appunto una “menata” per quanto ce la raccontiamo in termini gravi e pomposi. Il nostro obiettivo deve essere e deve rimanere scrollarci di dosso la sofferenza psichica e raggiungere una felicità, una fiducia, e una sapienza piena e pura. Dio quindi non è il Giudice severo dell'Antico Testamento, ma una Guida Spirituale che vuole che si diventi come Lui: perfetti. E questo è tutto ciò che vuole. Farci tornare alla Fonte.

31/07/13

LA SOLITUDINE

La solitudine è uno stato d'animo, nè più nè meno come l'ansia, la rabbia, l'angoscia. Sentirsi soli è appunto un "sentirsi" e questo sentirsi ha in sè un non detto che dice "è brutto e triste essere soli" per cui quando capita, non tanto di essere soli ma di "percepirsi" soli, si attiva quel "è brutto e triste essere soli" e si sperimenta il dolore. E questo può accadere anche se si è circondati da altre persone. Mentre se si è felici, la solitudine è pensata come "sono libero di fare ciò che voglio" e la si associa alla libertà. Come si vede è tutto un percorso soggettivo e puramente mentale. Non c'è nulla di oggettivo....e come sempre la felicità alla fin fine è scelta nostra....

30/07/13

LA PSICOANALISI DEL BUDDHA E IL PECCATO ORIGINALE

Questo è il titolo del libro che ho scritto. Come potete constatare ho voluto mettere già nel titolo il riferimento al Buddhismo,al Cristianesimo e alla psicologia. E c'è ovviamente una ragione. Il Buddismo è prima ancora che una religione, una via alla liberazione personale. Questo è chiaro a chiunque ne abbia letto anche solo superficialmente.Chi confonde i riti popolari del Buddhismo religioso con la speculazione e riflessione della filosofia buddhista, dimostra di non averne compreso lo spirito e la sostanza. Chi invece ha letto anche superficialmente qualcuno degli autori usciti dalla corrente culturale nata da Freud e dalla sua psicoanalisi, sa altrettanto bene che dall’originario “focus” sulla psicopatologia, la psicologia, la stessa psicoanalisi e molte psicoterapie si sono avventurate al di fuori del concetto di “patologia” per approdare alla considerazione dell’uomo e dei suoi modi di percepire e pensare, di affrontare la vita, di considerare i rapporti e le relazioni, come un tutt’uno del suo essere Persona, allargando ed integrando anche i concetti di realizzazione, felicità, senso dell’esistenza. La “patologizzazione” del disturbo mentale, originariamente focus dell'analisi, ha lasciato e sempre più sta lasciando spazio alla visione olistica dell’essere uomini, dove la sofferenza è solo uno degli elementi della vita e del processo evolutivo delle persone. La religione,infine, è finora riuscita, non senza crescenti difficoltà, a ritagliarsi uno spazio autonomo rispetto a questa indagine sull’Uomo tipica della filosofia e della psicologia, grazie all’introduzione del concetto dell’Assoluto, alla presenza di un Vertice cui tutto deve esser ricondotto, e alla malcelata idea che esista una sorta di do ut des tra comportamento nella vita terrena e nella vita dopo la morte. Ma la presenza di Dio nella vita delle persone appare sempre meno come qualcosa di distaccato ed iconografico; meno “idolo” a cui dovere culto e specchiata moralità, e, al contrario, appare sempre più come una Presenza che entra nei più intimi processi mentali e spirituali….... Sempre più viene percepito non solo come “esterno” all’Uomo, Essere con cui intrattenere un rapporto che troppo spesso ha le caratteristiche del potere e del conflitto tipiche degli uomini, fondate sulla base di logiche compensatorie ed utilitaristiche, ma anchecome “interno” al nostro essere, alle nostre dinamiche mentali e spirituali. La più diffusa conoscenza del Vangelo avutasi dopo il Concilio Vaticano II ha enormemente aumentato anche nel mondo cattolico la percezione di un Dio diverso, un Dio del Cuore, un Dio dell’Adesso, che dice non a caso “ il Regno dei Cieli è in mezzo a Voi”. E, paradossi della storia, proprio il Buddismo appare il più solido e strutturato ponte di collegamento tra la filosofia e l’indagine psicoanalitica in senso lato e le religioni in senso stretto dall’altro. Non è certo l’unico, sia chiaro, molto in filosofia è stato scritto e detto per creare ponti verso le religioni, ma il Buddismo è oggi, per diffusione e conoscenza, il più facile da percorrere. Oggi appare sempre meno contestabile il detto di Gesù che affermò: “chi vive e crede in me non morrà in eterno”, spostando la realizzazione piena dell’uomo dal futuro trascendente dopo la vita, all’immanente qui ed ora. Ecco così che l’insegnamento del Buddha sulla natura schiavizzante dell’attaccamento e del desiderio si sia ritrovato in compagnia stretta delle Beatitudini del Vangelo (Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? – Mt:6,25) e al tempo stesso abbia trovato al suo fianco le principali riflessioni sulle dinamiche psichiche dell’ansia ( non ripensate al passato perché non potete più cambiarlo e non preoccupatevi del futuro perché ancora non è…… rimanete nel tempo presente e l’ansia non avrà modo di esistere. L’ansia è solo anticipazione del futuro e la colpa è ritornare a rimuginare sul passato). Queste riflessioni sono state sviluppate ed approfondite nel mio lavoro “La psicoanalisi del Buddha e il peccato originale” (disponibile in versione italiana e inglese) dove le diverse affermazioni all’interno delle tradizioni culturali del Cristianesimo, del Buddismo e della psicologia contemporanea vengono confrontate alla luce delle loro sovrapposizioni.

26/07/13

STIAMO ATTENTI AL PERFEZIONISMO

Il perfezionismo è quell’atteggiamento mentale che urge alla nostra coscienza con la costante insoddisfazione circa la situazione in cui ci si trova. E’ un signore della mente sempre insoddisfatto che vuole sempre che le cose siano diverse, e a suo dire migliori, di quello che sono. La sua vera forza, agli occhi della coscienza, è che se non ci fosse un po’ di perfezionismo, non si riuscirebbe a fare alcuna cosa. E’ in effetti il perfezionismo che ha dato motore a tutto lo sviluppo tecnologico…dalla ruota ai computer…. Solo volendo e ricercando il miglioramento e il perfezionamento siamo stati in grado di sviluppare la tecnologia, la chimica, la farmaceutica, l’elettronica e così via. Ma il perfezionismo che si accredita nelle stanze della mente come un ospite di riguardo per via di questi oggettivi risultati, non ci viene mai a dire che il suo modo di vedere le cose ha il rovescio della medaglia: una costante e sotterranea insoddisfazione. Lui ci fa vedere le cose come sempre perfettibili e quindi manchevoli e cerca di convincerci che tutto deve essere valutato e considerato sotto la sua luce. L’intera società americana ed anche quella europea, ma molto meno, è ossessionata da questa cosa che riversa in tutto. Ecco così che un bambino non può giocare a basket “normalmente” ma deve esser “eccellente” “perfetto” nel suo giocare a basket, così come deve essere perfetto nel suo curriculum scolastico, deve scegliere le scuole “migliori” , a partire dall’asilo e deve avere le migliori performances in tutto. Quello che sfugge a questo signore, Mr. Perfezionismo, è che le persone non sono macchine e processi produttivi, ma esseri che vivono, pensano , amano, soffrono. E che continuare a spingere ad essere sempre più perfetti, a non essere mai soddisfatti ed in pace, genera una continua ansia ed insoddisfazione verso se stessi, verso quello che si fa e verso chi ha a che fare con noi, perché anche loro non sono perfetti, e così su di loro scarichiamo le nostre insoddisfazioni. Come tutte le cose della mente che ti dicono che “non va bene così” anche il perfezionismo produce insoddisfazione, senso di inadeguatezza, frustrazione, rabbia, cattivi rapporti con gli altri. Come fare dunque? Lasciare che tutto venga fatto mediocremente? Certo che no, ma fare le cose per bene, verso gli altri e verso se stessi, non necessariamente significa essere ossessionati dal demone del perfezionismo, ma è sufficiente farsi guidare dalla passione e dall’amore per quello che si fa. Quando si è guidati così, anche l’imperfetto è amato, che sia una cosa da fare o un comportamento da adottare….Si apprezza anche l’imperfezione frutto comunque di una dedizione e di una cura a ciò che si fa. Alla fine è sempre valido il detto del mezzo bicchiere. Il perfezionista vede quello che manca, il migliorista, vede quello che c’è…l’oggetto dell’osservazione è identico, ma cambia il modo di guardarlo….c’è un sì, anziché un no. E fa tutta la differenza del mondo.

19/07/13

ASPETTI PRATICI NELLA DSE

Il prerequisito dell’applicazione della DSE è, come per tutte le tecniche autogestite, quali il controllo del respiro, l’auto analisi, la pulitura dei chakra ecc, è la dissociazione. Per diventare terapeuti di sé stessi, occorre dapprima identificare un proprio sé/io che sia scisso dai processi mentali di cui vogliamo liberarci. Lungi da essere un autoinganno, questa “dissociazione” è invece un primo passo verso una più autentica conoscenza di se stessi, ma le resistenze che la mente fa a questo concetto sono notevoli. Perché? Perché fin dai primi anni della nostra vita ci è stato insegnato ad “identificarci” con tutto ciò che fa capo a quello che noi chiamiamo “io”. Se ad esempio ci guardiamo allo specchio, diciamo senza alcun dubbio “sono io” e non diciamo certo “ quello è il mio corpo”. Ma se ci riflettiamo un attimo e pensiamo a quando ci guardavamo allo specchio a 10 anni e a quando ci guardiamo allo specchio oggi, dire che ciò che lo specchio riflette è lo stesso “sono io” di allora ci riuscirebbe un po’ difficile da sostenere, almeno senza aggiungere “oggi”. In verità quell’io di allora non ha più nulla in comune con l’io di oggi. Oltre all’aspetto, anche le cellule sono cambiate e sono tutte le pronipoti di quelle di allora, quindi anche biologicamente siamo qualcosa di diverso. La parola “io” che usiamo indifferentemente per le due immagini è se ci si pensa, per lo meno una forzatura. In realtà quella “entità” che dice “io” a distanza di decenni, è in effetti una costante che fa “l’errore” di attribuire identità ed uguaglianza a due corpi che non lo sono affatto. Di fatto proietta la sua percezione di “continuare ad esserci” su una realtà materiale molto differente. La stessa cosa che vale per il corpo, vale per la mente. I nostri pensieri, le nostre opinioni, la nostra conoscenza, le nostre emozioni cambiano radicalmente dai nostri 10 anni ai nostri 20-30-40-50-60 ecc. anni, ma noi, come per lo specchio, proiettiamo l’idea di un “io” costante su idee, emozioni, valori, opinioni che sono completamente cambiate. In realtà, e se ci si pensa risulta evidente, ciò che permane nel tempo è quell’entità che “osserva” il mondo della materia e dei pensieri e che continua a fare l’errore di considerare “io” quel materiale della mente e del corpo, perché sente la necessità di dare “consistenza” al proprio “esserci”, al proprio “osservare”. Se io mi trovo ad osservare che una parte dei miei comportamenti e delle mie reazioni sono sgradevoli e non li condivido, è evidente che questi stessi operino fuori dal mio controllo e contro la mia volontà. Se così è, ed è così, come faccio a dire che sono “io”? Sarebbe come dire che se mi viene la varicella o l’influenza, “io” sono la varicella o l’influenza! Sembra ridicolo ma è proprio ciò che comunemente facciamo. Perché quindi la dissociazione è così importante? Per due ragioni. La prima è che è un passo verso la verità. La seconda è di natura “tecnica”. Se usando la DSE si entra in un’esperienza per esempio di rabbia, che è un emozione molto sequestratrice della volontà e tende a “tagliar fuori” la coscienza e l’autocontrollo in modo perentorio, SAPERE e CREDERE che quell’emozione è un corpo estraneo e parassita della mente (e che quindi NON la condividiamo), consente in ogni momento di interrompere l’identificazione e la condivisione di quella rabbia e con ciò riuscire a vederla ANCHE come osservatore distaccato, nello stesso modo in cui vedete sul termometro salire la febbre quando si ha l’influenza. La si sente, la si soffre, la si misura, ma non si “è” la febbre. Così come la febbre la si lascia sfogare, allo stesso modo si può lasciare che la rabbia si manifesti nella mente, tenendola sotto controllo (ad esempio se vi viene voglia di spaccare tutto potete immaginare di farlo ma non fatelo! E’ molto costoso…come minimo. Al limite lanciate qualche cuscino che è innocuo…) giusta, vera e necessaria per aver la forza di entrare nel “problema” e gestirlo con la DSE. Senza questa convinzione maturata sinceramente è meglio non procedere, soprattutto su cose molto coinvolgenti. (per maggiori informazioni: http://dsepersonalcoaching.blogspot.it/)

17/07/13

IL LIVELLO DELLE ASPETTATIVE E LA SOFFERENZA MENTALE

[...] La maggior parte di noi affronta la vita con determinate aspettative, o se le crea strada facendo. Ci aspettiamo prima di tutto la salute, poi riteniamo perfettamente normale aspettarci di essere amati dalle persone che amiamo, ci aspettiamo poi di incontrare l’amore con la A maiuscola, inoltre noi stessi desideriamo essere eccezionali, unici, intelligentissimi, originali, ricchi, colti, eccetera. Forse stiamo un poco esagerando è vero, ma siamo sinceri, non siamo poi così lontani dalla verità sulle nostre elevatissime aspettative sulla vita. Questi (od altri) livelli di aspettative vengono però il più delle volte pesantemente disattesi; a volte possiamo serenamente accettarlo nel nostro intimo, e allora i danni sono minimi, ma altre volte non ce la facciamo, si rompe qualcosa al nostro interno e diciamo ”no, questo no”. Possono essere cose gravissime come la scomparsa di persone vicine, la morte di un figlio, gravi infermità, cose cioè che non rientrano in quanto noi siamo normalmente disposti ad accettare nel nostro inconscio. Oppure possono essere situazioni apparentemente più leggere, come una delusione amorosa, un tradimento di un amico, qualcosa che però alla persona che lo subisce appare insopportabile. Questo è un aspetto interessante, da tenere ben presente: situazioni diverse, eventi di gravità molto diversi, possono produrre gli stessi effetti mentali, mentre eventi simili non sempre causano uguali reazioni e danni. Ciò è dovuto al differente livello di aspettative che le persone hanno nei confronti della vita. La caduta delle aspettative che, consciamente o inconsciamente, abbiamo circa la nostra vita, ha a che fare con il nostro concetto di sopravvivenza. Nel caso in cui l’evento sia fisicamente perturbativo, tutte le menti, tendenzialmente reagiscono in modo simile: è oggettivamente il rischio di sopravvivenza fisica che è in gioco. Quando invece l’evento è completamente nella sfera mentale, è soggettivamente coinvolta l’idea della qualità della sopravvivenza. Questa soggettività investe l’idea stessa di come deve esser la vita della persona. Ciò che ci aspettiamo di realizzare è in realtà ciò che ha potere su di noi. Nella misura in cui desideriamo avere certe cose, raggiungere certi risultati, diventare ciò che sogniamo di diventare (ricchi, laureati, dirigenti, belli, ammirati, sposati, amati, eccetera.) siamo in potere di questi desideri, fino a quando non siano stati soddisfatti o fino a quando non si cessi di desiderarli. Probabilmente alcuni, si sentiranno colpiti da queste considerazioni: ”come, dovrei rinunciare a desiderare quella posizione professionale, quella persona, quell’auto, quel denaro? Ma non riuscirei più a vivere! Che senso ha la vita senza un obiettivo? Che gusto ci sarebbe?” In realtà le cose non stanno proprio così: l’idea di non riuscire a vivere senza impellenti desideri è appunto un’idea, nulla di più che un’idea. Provate a pensare ad un desiderio che non avete: se per esempio non vi interessa diventare un musicista, vi sentite forse tristi o insoddisfatti o infelici rispetto all’idea di non diventare musicisti? Influenza in qualche modo il vostro stato d’animo? No, vero? Provate a seguire questa situazione simulata, e forse la cosa vi sembrerà più chiara. Immaginate di fare una tranquilla passeggiata nel verde di un piccolo parco in una bella e fresca mattina di primavera; immaginate di prendere in considerazione l’idea di diventare (se in realtà non vi interessa) un valente violinista, e di prendere in considerazione il concetto che non ci riuscireste mai: la cosa vi sconvolge? Vi sentite turbati, tristi, infelici? Forse non vi accorgete più della bella giornata che vi circonda? Non apprezzate più la freschezza della brezza mattutina? Non apprezzate più il verde dei prati intorno a voi? No, in realtà non cambia il vostro stato d’animo, e non venite turbati affatto, perché quell’idea non è un vostro desiderio, una vostra pulsione, una vostra passione. Rimarreste comunque sereni e contenti. Volete una controprova? Provate a seguire quest’altra “simulazione”. Provate a pensare a qualcosa che volete realizzare e a cui tenete molto, moltissimo; qualcosa che “avete nel sangue”, che rappresenta per voi tantissimo: ipotizziamo che sia qualcosa che riguarda solo voi stessi e non qualcuno della famiglia, che sia cioè qualcosa che soddisfi il vostro ego, poniamo per esempio che sia la vostra promozione a quella posizione di responsabile a cui mirate da tanto. Bene, siete lì che state passeggiando nel piccolo parco, tranquilli e di buon umore, godendovi la giornata splendida. Anzi la giornata è ancor più splendida perché state pensando che nel lavoro state andando bene e che il capo in testa vi “vede” bene. Quel posto di responsabile è vicino, davvero vicino. Ad un tratto un pensiero, una considerazione, una cosa che vi era sfuggita: avete improvvisamente ricordato che il capo in testa che decide della vostra promozione, ha appena avuto un figlio e sua moglie, che risiede in un’altra città, ha sempre protestato per la vita da pendolare che fa il marito; e lui circa un anno fa, a quel pranzo, vi aveva confidato che se avesse avuto un figlio, lui avrebbe scelto di stare vicino a sua moglie e l’avrebbe finita con quella vita; aveva già dei buoni agganci presso la sua città e avrebbe lasciato l’azienda. Ma se questo accadesse il suo posto lo prenderebbe quel tirapiedi dell’altra divisione che non vi può vedere! E se questo accadesse, a quel posto che spetta a voi ci andrebbe il suo pupillo! Pensereste: sono fregato! Quello diventerebbe il mio capo, ed io rimarrei dove sono adesso. A questo punto pensate che riuscireste ancora a godervi la giornata? Riuscireste ad accorgervi ancora della bella fresca mattina e del piccolo parco in fiore? Questo è il potere che il livello delle aspettative ha sulla psiche. Il livello di aspettative determina una serie di condizioni mentali a cui la persona si assoggetta, dando a queste potere sulla mente stessa, e quindi sulla psiche della persona. Tale potere è in grado di rovinare un’esistenza [...] tratto da "LA PSICOANALISI DEL BUDDHA E IL PECCATO ORIGINALE"

08/07/13

LA ZONA DI COMFORT

la zona di comfort è quella situazione in cui si cerca di evitare tutto ciò che da' fastidio.....ed è molto insidiosa, perchè si veste da "ama te stesso" e che attiene a quell'area di consigli pseudo-spirituali che ti dicono fa' quello che ami ed evita quello che odi, le persone che ti disturbano, le persone negative.....ecc. ecc. Ci cascano anche tanti spiritualisti che si chiudono al mondo per non avere "seccature" nella loro ricerca spirituale. Lo facciamo tutti eh, proprio tutti, ma questo modo di procedere non è libertà spirituale, ma......comodità, comfort, appunto. Non bisogna esagerare....qualche volta un po' di comfort ci vuole....occorre tirare il fiato e godersela un po', ma la vera libertà è diventare capaci di imperturbabilità e pace e buon umore anche se si è immersi in situazioni "sgradevoli" o si ha a che fare con persone "negative" dal nostro punto di vista. Se insomma il mondo non ci fa vedere il suo lato migliore.....il cambiamento avviene proprio in quei momenti in cui siamo forzati a stare in situazioni difficili e riusciamo a mantenere la positività...E' di per se' evidente che se tutti riuscissimo a mantenere positività anche di fronte alle avversità (il cosiddetto portare la propria croce), non avremmo più persone negative e il mondo sarebbe un paradiso.

04/07/13

L'OSSERVATORE

Le idee cambiano, i gusti cambiano, gli affetti cambiano, i ragionamenti e le priorità cambiano. Cosa rimane di costante, stabile, immutabile? Una cosa c’è. E sei tu che osservi tutto ciò. Tu che osservi te stesso che cambi idee, gusti, ragionamenti, vestiti, casa, affetti, posto in cui vivi…..Tu che osservi sei sempre lo stesso…osservi le tue paure e i tuoi atti coraggiosi, le tue scelte e le tue non scelte…. Tu sei quella unità di consapevolezza che può mettersi a distanza dalle cose che ti accadono, come se la cosa non ti riguardasse….. Quando comprendi che non sei i tuoi pensieri, quando comprendi che ciò che pensi lo puoi cambiare, che ciò che ti condiziona e ti fa fare cose che non ti piacciono, non sei tu ma solo qualcosa che come un virus molesto agisce dentro di te contro la tua volontà….Quando ti rendi conto che la tua mente non sei tu, ma uno strumento a tua disposizione come le tue braccia e le tue gambe, allora scopri che c’è questa cosa, la coscienza, che è sempre lì a farti rendere conto di ciò che succede….E quando questo lo scopri, lo sperimenti, lo individui, hai cominciato il risveglio, hai cominciato il distacco dalla tua mente…l’osservatore si è svegliato e non può più riaddormentarsi, perché sa.

LE NOSTRE CONVINZIONI SUBCONSCIE

"Occorre lavorare sulle convinzioni subconscie che ci bloccano e che ci ostacolano nella nostra evoluzione" ecco qui sta il problema, ma aggiungo che non occorre necessariamente sostituirle con altre, ma è sufficiente cancellare quelle che ci bloccano, il resto viene da sè. Infatti i bambini non hanno bisogno di molte "convinzioni" positive per procedere ed essere felici....ed hanno vitalità non solo dovuta all' età ma anche al fatto di avere menti più libere di noi...la felicità è naturale, data dall'universo...avete mai visto un cucciolo di cane giocare? E' la felicità fatta cane. Sono poi i nostri errori educativi, la competizione, il primeggiare, il pretendere da noi stessi e dagli altri, il creare aspettative sul nostro futuro,che comportano la nascita della paura del fallimento, le nevrosi dell'io, il valutare in base a comparazioni....e non solo la realtà è influenzata da come noi ci definiamo a livello cosciente, ma ancor di più da come nel subconscio ci "pensiamo", senza nemmeno saperlo.

LA LIBERTA'

La libertà possiamo definirla come assenza di costrizioni. Una libertà assoluta può essere definita come totale mancanza di costrizioni ed obblighi. Questa è una definizione che può incontrare il favore della maggior parte delle persone. Tendenzialmente quando si pensa alla libertà, si pensa a ciò o a chi la limita. Si pensa prevalentemente ai comportamenti sociali e personali, alle regole e alle leggi, scritte e non, che impongono obblighi alle singole persone, a noi. Generalmente si ritiene che tolti di mezzo gli ostacoli esterni, la nostra libertà sarà piena. Quello che invece non si tiene mai o quasi mai in considerazione, sono gli ostacoli “interni” a noi stessi che limitano fortemente la nostra libertà. Sono prevalentemente le nostre schiavitù interiori quelle che più ci privano della libertà. In altri termini, noi tutti tendiamo a vedere la mancanza di libertà come impossibilità imposta dall’esterno di soddisfare i nostri desideri, ma molto difficilmente cerchiamo di vedere quanto noi stessi siamo schiavi dei desideri che abbiamo. (da "La Psicoanalisi del Buddha e il Peccato Originale")

VIVERE NEL SI'

Si usa dire che il dolore è inevitabile nella vita e questo è sicuramente vero per il dolore fisico, ma è altrettanto vero per il dolore psicologico, mentale? Qui dipende da molte cose. Sicuramente il dolore psicologico può essere in qualche modo gestito e modificato, controllato, diminuito o aumentato….Dipende da come ci rapportiamo di fronte alle cose della vita. Ma se questo è vero, allora sono veri anche gli assoluti, e cioè che è teoricamente possibile non soffrire affatto, o soffrire per ogni cosa. Tutto in realtà si riduce ad una cosa semplice: soffriamo per tutto quello non riusciamo ad accettare e che invece ci accade e soffriamo per tutte le cose che vorremmo ci accadessero e non ci accadono. Tutto il dolore si riassume in questo. Ma se questo è vero, qualcuno potrebbe obiettare, dovremmo essere come dei sassi: insensibili a tutto. Senza vita in effetti. Beh, questo dipende da che tipo di concetto abbiamo della vita. Se pensiamo che la vita sia passione e repulsione, desiderio e rifiuto, amore ed odio, sicuramente avremo una vita ricca di piaceri, dovuti all’ebbrezza di aver raggiunto l’oggetto dei nostri desideri, e grandi dolori dovuti alla perdita di cose e persone che abbiamo fortemente amato e desiderato. Sì, è vero. Questa è la vita degli uomini. Da sempre. Entriamo nella vita e ci facciamo guidare dalle nostre passioni, dai nostri innamoramenti, dalla nostra indignazione, dalla nostra rabbia e dalla nostra paura; facciamo delle esperienze, belle, meravigliose e poi delle altre tristi e tragiche. Poi gli anni passano……invecchiamo, il corpo si logora ed infine moriamo. Eh sì questa è la vita. E poi……? Fine? O altre vite simili a questa? Reincarnazione? Per fare cosa? Le stesse cose in un altro corpo, epoca, nazione? E’ questo lo “Scopo”? E’ questa l’unica esistenza possibile? O ce ne sono altre? Se consideriamo che questa è la vita, che questa deve essere, che non c’è altro modo di esistere, allora proseguiamo così. Ma non lamentiamoci più del dolore della vita per favore. E’ una scelta che facciamo. Se desideriamo il successo, soffriremo nell’attesa di averlo e potremmo non averlo mai. Se desideriamo la ricchezza, abbiamo molte probabilità di rimanere delusi, perché per una semplice logica matematica i ricchi sono pochi e i poveri molti. Se desideriamo la famiglia perfetta, correremo seri rischi: potremmo non essere mai contenti di quella che abbiamo e lo stesso potrebbe volere il nostro partner a cui noi tutto sommato piacciamo sì,ma…..ci potrebbe essere di meglio….ci potrebbe essere sempre di meglio. Se vogliamo la salute……potrebbe non andarci sempre tutto bene. Ecco, più cose vogliamo e più cose potenzialmente potrebbero mancare e….soffriremmo. E poi questa cosa vale anche per le nazioni, per i desideri collettivi. I nostri vicini potrebbero volere le nostre risorse, il nostro mare, il nostro sole….o imporci il loro modo di vedere la vita, e lo stesso potremmo volere noi….e così via. Questa è la vita della passione e della repulsione, del bene e del male, dell’albero della conoscenza. Questa è la vita del dolore. Ma se vogliamo trovare un diverso modo di vivere la vita, allora questo schema dobbiamo metterlo sotto la lente d’ingrandimento e vederne tutti i limiti, e chiederci: c’è di meglio? Esiste un modo di vivere senza dolore? Sì, c’è. Necessita però di un grande cambiamento. Significa passare dalla logica del sì e no alla logica del sì e….basta. Significa che la passione deve essere verso il sì e se la passione non viene soddisfatta, il sì deve rimanere. Se ciò di cui abbiamo repulsione si presenta nella nostra vita, dobbiamo sapere dire di sì invece di dire di no, essere capaci di passare dalla repulsione all’accettazione…..Se il successo non arriva, considerare che è un successo non avere successo, perché va bene lo stesso, vivo bene lo stesso. Ama i tuoi nemici diceva Gesù. Un paradosso linguistico prima ancora che esistenziale. Ma se ami chi ti odia, la tua felicità chi la può scalfire? Ecco quindi che il SI’ completo elimina il dolore. Ed avere fiducia, dire, o meglio “sentire”, sempre il sì, è un atto di fiducia totale, perché il sì è pericoloso,molto, significa non proteggersi con il no, ma esporsi al rischio che il mondo ti voglia cancellare, perché è troppo abituato al sì e no, e non capisce. Avere sempre il sì della fiducia può esporre alla morte, ma chi ha fiducia sempre e comunque ormai pensa da immortale come la natura di cui è intimamente fatto. Questo è il vero e semplice concetto di fede: fiducia illimitata.

LA PAURA DI SBAGLIARE

La paura di sbagliare è una delle CMS (cariche mentali subconsce) più invalidanti che vi siano. E’ capace di ingabbiare tutto quanto, di renderci completamente imbelli e in completa balia degli eventi e delle persone. Non possiamo prendere vere decisioni se abbiamo paura di sbagliare e purtroppo non possiamo nemmeno crescere non solo professionalmente ma anche personalmente se permane in noi questo timore. Ma da cosa nasce questa paura di sbagliare? Che cosa la determina? Da un punto di vista psico-analitico, con questo intendendo le relazioni di causa-effetto, la paura di sbagliare è la paura del giudizio degli altri, la paura della critica soprattutto. Oppure può anche essere determinata dalla paura delle conseguenze di uno sbaglio, non importa se grande o piccolo che sia, ai nostri occhi appare sempre grande; questo dipende da quanto severamente ci giudichiamo. Ad esempio, un autista di autobus può avere la paura di fare un grave errore di guida, è una paura concreta, poiché da quell’errore possono dipendere la vita di decine di persone. Oppure, come per un chirurgo, la paura di lasciare un morto sul tavolo operatorio per un suo errore è altrettanto concreta. In questi casi la paura non è del giudizio degli altri ma è dovuta alla paura umanissima di fare del male al proprio prossimo. Ma per chi nutre sotto traccia una costante e fastidiosa sensazione di insicurezza in ogni decisione che prende, è diverso .... l’avere un sotterraneo terrore nel prendere decisioni, ogni tipo di decisione, per la semplice paura di sbagliare è decisamente diverso. Sono varie le ragioni che possono portare a questo; possono essere delle cattive esperienze vissute in passato tipo: delle nostre decisioni che poi si sono rivelate errate, oppure perché si è avuto un’educazione molto rigida in cui un genitore o entrambi non siano riusciti a darci la necessaria fiducia di cui avevamo bisogno, fiducia nelle nostre capacità di prendere decisioni e di fare le cose. Frasi come “non sei capace di fare niente” oppure “non ne fai mai una giusta”, “ sei stupido”, “non sei portato per fare queste cose” , “lascia perdere non fa per te” “ non toccare niente”, “sei negato”. O ancora “lascia perdere ci pensiamo noi”, “non è roba per te” ecc…, abituano il nostro subconscio, senza che noi ci rendiamo conto e probabilmente neanche i nostri genitori, a pensare che molte cose non sono alla nostra portata e di fatto ci inibiscono nella nostra capacità e voglia di misurarsi con cose nuove e nel prendere decisioni. Un’altra modalità che invalida la nostra capacità di assumere decisioni e fare cose, è quella della paura della critica altrui. Anche questa probabilmente originatasi nell’età infantile. Le eccessive raccomandazioni fattaci dai nostri genitori tipo “comportati bene” associate non solo al rispetto di cose e persone, ma soprattutto al timore di incorrere nella condanna “sociale”, in età adulta, o anche prima, possono sfociare in una paura di agire, o anche, nei casi più gravi, in una tendenza a nascondersi dagli altri. Tali atteggiamenti vengono assorbite dal nostro subconscio attraverso l’introiezione di concetti quali: “ comportati come si deve, non farmi fare brutte figure”, “ non fare niente! Cosa penseranno i vicini?”, “stai zitto/a se non sei interpellato” , “stai fermo e non fare niente. Vuoi farti ridere dietro da tutti?” e così via. Tutte queste sono frasi ovviamente invalidanti, castranti, bloccanti, ed è ovvio che mano a mano che questi comandi vengono introiettati nel subconscio, creeranno una “struttura” nella nostra personalità che tenderà sistematicamente ad evitare situazioni di esposizione, di rischio, di decisione, ecc… E poi c’è una paura di sbagliare molto particolare ed anche molto diffusa ed è quella di amare. Amare vuol dire donarsi, esporsi, disarmarsi, dare fiducia. Si è completamente indifesi sia di fronte all’altro che di fronte all’emozione e più l’emozione è forte più ne abbiamo paura, tutte le barriere di protezione si possono infrangere e lasciarci completamente indifesi, in balìa dell’altro. Per chi ha difficoltà a fidarsi può diventare addirittura terrorizzante. Questo tipo di paura può manifestarsi in qualsiasi periodo della nostra vita, dai primi anni fino alla vecchiaia e si origina dopo una delusione che non necessariamente deve essere affettiva.