28/07/11

LE MECCANICHE DELLA MENTE


Chi è alla ricerca di una crescita spirituale, e da almeno un po’ di tempo sta “ricercando”, con letture, incontri, magari navigando in rete, avrà con ogni probabilità incontrato il concetto del ”vuoto” mentale, come obiettivo da raggiungere per ottenere la pace.
Se ne parla come di un processo di “disidentificazione” dai propri pensieri, come il “fermare” la mente, liberarsi dagli attaccamenti, trovare il proprio centro, ecc.
In questo scritto non si parlerà del vuoto. Ci sono molti e autorevoli autori e frequentatori della rete che hanno da insegnarne.
Si parlerà invece del “pieno” cioè di come la mente normalmente si comporti per impedire al ricercatore di giungere alla pace mentale. In altri termini si parlerà di ciò le persone “normali” hanno come condizione mentale-esistenziale.

La prima cosa da dire, ed è anche abbastanza ovvia a questi livelli di conoscenza, è che i nostri pensieri, sicuramente quelli inconsci, ma anche quelli consci, NON sono da noi padroneggiati come ci sembrerebbe. A questo proposito, per non allungare troppo questo articolo vi invito a leggere la nota “la mente che mente”, che sviluppa l’argomento in modo un po’ più completo.
Ma appurato ciò, quello che potremmo chiederci è cosa sono i pensieri e come funzionano. Bene. Facciamo prima un po’ di anatomia del pensiero. Il pensiero è dato sostanzialmente da due cose.

La prima è il concetto che esso esprime. (ovvio, no?)
La seconda è l’energia che esso contiene (un po’ meno ovvio, ma comprensibile)

Un concetto può essere ad esempio “io sono testardo”. Questo semplice concetto però è composto già da altri tre concetti che sono “io”, “sono” e “testardo”. Lo rivedremo tra un minuto, perché c’è molto da dire, sulla formulazione dei concetti.
L’energia invece è data dalla “carica emozionale/mentale” che il concetto si porta dietro e che da’ il carattere e la forza (o la debolezza) del concetto.
A sua volta la carica emozionale dipende da molti altri fattori e in particolare da quanta energia c’è nel concetto di “io” di “sono” e di “testardo”.
Poniamo che dato per massimo il livello 100, nella frase “io sono testardo” vi sia una quantità di energia media di 80, in cui vi è un livello di 100 nell’io, di 80 nel “sono” e di 60 nel “testardo” la somma divisa per 3 da appunto 80.
In termini più semplici, potremmo dire che il nostro ipotetico amico che dice questa frase è assolutamente certo di esserci (io=100) fortemente di essere esistente (sono=80) e abbastanza convinto di essere testardo (=60).
Ipotizziamo che però il nostro amico voglia liberarsi di quest’idea di essere testardo, perché questa sua convinzione lo porta ad avere comportamenti rigidi ed ostili ai cambiamenti che gli creano problemi con il prossimo.

A questo punto si potrebbe dire: beh, basta che cambi idea e diventi più flessibile. Sembra facile, ma non lo è. In realtà al di sotto della frase analizzata, vi sono altre frasi ed altre cariche emozionali/mentali che alimentano quella superiore. Una di queste può essere che l’idea di essere testardi sia simile a quella di avere “carattere” e siccome c’è la convinzione che avere carattere sia una cosa buona, alla persona riuscirà arduo accettare di essere meno testardo, perché inconsciamente avvertirà di avere “poco” carattere e quindi la sua volontà di liberarsi della testardaggine sarà ridotta da altri processi inconsci.

LA STRUTTURA INTERCONNESSA
In effetti, quello che stiamo cercando di spiegare è che i pensieri sono come il gioco del lego, mattoncini semplici che creano costruzioni più complesse o se preferite sono come atomi, che formano molecole, che creano catene di amminoacidi, che creano strutture, che creano organi, che creano corpi che diventano esseri viventi.
L’energia invece è data da quanto la persona crede e si identifica nel concetto che esprime e la convinzione dell’idea accresce il suo radicamento e la sua “insostituibilità” predisponendo quindi la mente ad irrigidirsi su quell’idea, qualunque essa sia.

Come detto nell’esempio se la parte meno convinta della frase è il concetto di “testardo” quella sarà la parte più facilmente modificabile attraverso un suo “scaricamento” energetico, che quando effettuato correttamente porterà alla superficie ciò che al di sotto lo alimenta.

LA DEPROGRAMMAZIONE SEMANTICO ENERGETICA (DSE)
Come espresso sopra, i concetti, TUTTI i concetti/pensieri in cui crediamo, hanno una certa quantità di energia che li alimentano. Se così non fosse quegli stessi concetti non avrebbero alcuna forza né la capacità di influire e condizionare il comportamento della persona. L’energia sottostante può essere di diversa natura. Può essere euforizzante, terrorizzante, angosciante, divertente, paralizzante, arrogante, ecc. Dipende da quali legami ha con gli ulteriori concetti/pensieri ad esso legati.
La nostra mente è quindi molto, molto, molto complessa, per via delle interconnessioni che a migliaia la percorrono. Sarebbe quindi assai arduo, per non dire sconfortante immaginare di “ripulirla” con pochi colpi di meditazione.

Ci sono però dei punti deboli che ci possono aiutare…..

La stanchezza di fare sempre le stesse cose

Chi di voi non si è mai stancato di fare qualcosa o di pensare qualcosa o di parlare di qualcosa? E’ un’esperienza che tutti abbiamo fatto, no?
Il più delle volte quando ciò avviene rimaniamo in uno stato negativo di insoddisfazione. Non riusciamo più a trovare piacere dal fare quella cosa che normalmente ci piace e allo stesso tempo non vorremmo che accadesse questo. Magari si continua a farla, ma la fatica, la noia diventa sempre più presente e “il senso” che quella cosa aveva, tende ad affievolirsi progressivamente.

Perché ciò avviene?

Perché il ciclo dell’energia ha un suo ritmo , tempo e curva di attaccamento. C’è una prima fase in cui c’è l’entusiasmo e vorremmo occuparci sempre di quella cosa, (è la fase maniacale quando i nostri amici cominciano a prenderci in giro, la compagna o il compagno fa quello sguardo da compatimento-sopportazione) poi c’è la fase di professionalizzazione in cui la ragione si mette al servizio della cosa e cerchiamo di arrivare al massimo risultato nella cosa stessa.
Poi inizia la fase del dovere in cui la cosa ci da’ ancora piacere, ma si avverte anche il sacrificio di dovere/volerla fare, e poi comincia quella sensazione di pesantezza, che diventa noia, fatica e….il piacere comincia a scendere…e poi si arriva all’abbandono.

Il ciclo dell’energia vale anche per i concetti/pensieri (sono sostanzialmente la stessa cosa) e soprattutto, vale anche per i concetti/pensieri che NON volete avere.
Il modo attraverso cui ciò può avvenire è la reiterazione/ri-percorrenza/scaricamento del concetto/emozione da risolvere, che io chiamo deprogrammazione semantico-energetica(DSE).

COME FUNZIONA
Analogamente al caso della cosa che ci piace fare e che a lungo andare può esaurire la sua “carica”, anche le nostre paure, angosce, negatività e aggressività, hanno il loro ciclo dell’energia che può essere riprodotto appositamente, in un ambiente protetto, (sapendo che esse non sono “noi”, ma una parte della nostra mente che NON vogliamo e da cui prendiamo le distanze come da un virus o da un batterio) attraverso la modalità dell’”entrarci dentro” e ripercorrerlo fino a stancarlo e stancarci, per poi continuare ancora fino a che questa stessa stanchezza non scompaia e ci si ritrovi a ripercorrere il…”nulla”.
Cosi facendo la carica energetico/emozionale si andrà a scaricare fino alla sua cancellazione portando a galla ciò che si troverà al di sotto, e così si potrà riprendere anche questo nuovo concetto/energia e trattarlo come sopra.
Presto ci si troverà a scoprire quali sono i “mattoni” fondamentali del pensare che occupano la mente incessantemente, e la coscienza (l’osservatore) diventerà sempre più abile nel dare la caccia ai parassiti, ai demoni, della mente.
Piano piano si scoprirà la natura “impermanente” dei nostri pensieri, la loro origine dal profondo del subconscio e la distanza da essi aumenterà, mentre, continuando ad aggredire i parassiti mentali, si procederà verso una maggior libertà e capacità di azione della coscienza.

L'INGANNO DEL LINGUAGGIO


La nostra vita sociale dipende in grande misura dal linguaggio. Attraverso esso comunichiamo con i nostri simili. Ci consente di capire il mondo, di istruirci attraverso la scuola, i giornali, la televisione, Internet e il semplice interagire con amici, familiari e colleghi.
Lo usiamo costantemente senza avere il minimo dubbio sulla sua efficacia e inconfutabilità.
Quando parliamo, ascoltiamo, leggiamo, diamo per assolutamente certo che ciò che ascoltiamo sia esattamente ciò che chi ci ha parlato voleva dire e quando parliamo riteniamo che ciò che comunichiamo sia ciò che l’altro che ascolta, capisce. In altre parole, siamo convinti che il linguaggio, almeno all’interno della stessa lingua, sia uno strumento preciso di comunicazione.

Ebbene, questo è un GROSSO errore.

La comunicazione attuata con il linguaggio, sia esso scritto che parlato, è molto meno precisa di quanto normalmente riteniamo.

Qualche esempio.

Se sentiamo dire: "il ministero della Sanità ha escluso che potranno esserci ulteriori casi di contagio alla luce degli accertamenti effettuati". Di fronte ad un’affermazione del genere le reazioni possono essere le più articolate.
Se ad esempio avete fiducia nella fonte che state ascoltando, il vostro cervello elaborerà l’informazione che non c’è vero
pericolo e che potete stare tranquilli. Se inoltre avete fiducia nel ministero della Sanità, andrete oltre e, a quel "alla luce degli accertamenti effettuati" sarà per voi più che sufficiente per farvi sentire tranquilli e al sicuro.Ma se viceversa vi trovate nelle situazione di considerare attendibile la fonte di informazione che vi sta dando la notizia ma diffidate della sincerità del ministero della Sanità, potrete pensare che "alla luce degli accertamenti effettuati" è di fatto un’ espressione poco chiara e poco verificabile. Vi chidereste: "cosa si intende davvero per "accertamenti" quali accertamenti sono stati fatti? E quali invece NON sono stati fatti"? Una comunicazione del genere, potrebbe ottenere in voi un effetto opposto a quello che chi l’ha data voleva ottenere: vi state preoccupando di più di prima.
Ma se la vostra fiducia nel "media" che vi ha dato la comunicazione è negativa ed inoltre avete delle ragioni per ritenere che il ministero abbia la marcata tendenza a mentire, voi interpreterete la notizia in modo OPPOSTO a quello comunicatovi. Riterrete infatti che ci saranno ulteriori casi di contagio e che la situazione è assai più grave di quello che vi dicono.

Allo stesso modo questa ambiguità e multi-significanza/percezione del linguaggio investe ogni ambito della comunicazione umana. Se ad esempio vi si dice che "Dio è Padre", la vostra percezione di un simile concetto dipenderà radicalmente dall’idea che avete sedimentato di padre e di Dio. Se ad esempio avete avuto un padre alcolizzato che quando veniva a casa picchiava voi, i vostri fratelli e vostra madre, difficilmente un pastore o sacerdote che vi proponesse questa immagine di Dio riuscirebbe a convincervi a diventare credenti, no? Lo stesso può valere ad esempio per qualcuno che vi dice "devi avere fiducia in me". Se avete avuto la fortuna di avere a che fare con persone serie, affidabili, magari anche una famiglia amorevole, potreste anche essere facilmente disposti a credere nel prossimo e a dare fiducia, per cui un’esortazione del genere darebbe i risultati che si prefigge, ma se le vostre esperienze pregresse avessero purtroppo dovuto far tesoro di una continua inaffidabilità degli esseri umani con cui avete avuto a che fare, una frase come quella potrebbe per voi significare esattamente l’opposto di ciò che "linguisticamente" dovrebbe comunicare.
La comunicazione quindi, lungi dall’essere chiara ed univoca, dipende, più da ciò che veicola con il linguaggio, da ciò che ogni attore della comunicazione ha e vive al suo interno, che filtra, altera, modifica, aumenta, diminuisce o addirittura sovverte il significato di ciò che ascolta.

Uno degli ambiti in cui maggiormente ciò si verifica e nel campo della religione.

Uno degli argomenti che ho più spesso portato avanti è che Gesù non ha fondato una religione ( vi rimando all’articolo "la non religione di Gesù") ma che ha universalizzato la religione ebraica, portando ad un suo superamento e al tempo stesso completamento. Quello che qui mi preme sottolineare è l’aspetto linguistico-semantico di queste questioni. Di fatto una delle barriere maggiori alla reciproca comprensione è l’ILLUSIONE" che il linguaggio sia in grado di comunicare una realtà oggettiva, quando è invece è solo uno strumento assai imperfetto per comunicare concetti.
Gesù fu radicalmente contestato perché le sue posizioni SEMBRAVANO confliggere con le norme mosaiche e dell’Ebraismo. Fece scandalo perché non permise di fatto la lapidazione dell’adultera, perché accettò tra i suoi discepoli un pubblicano come Matteo odiato da tutti.
Disse che invece di occhio per occhio, occorresse "porgere l’altra guancia"ed amare i Romani invasori invece di contrastarli, e così via.Tutte queste posizioni lungi dall’essere antimosaiche o antiebraiche erano in realtà un più completo disvelamento della stessa legge mosaica.
Infatti la norma dell’occhio per occhio non aveva la funzione di attuare una "vendetta" verso chi aveva compiuto il primo atto dannoso, ma la funzione di una limitazione dell’istinto di vendetta che se lasciato andare a sè stessto poteva portare all’uccisione dell'aggressore .Quindi la giustizia della norma era nella limitazione e non nella vendetta. Ovvio che un suo "completamento" dovesse comportare l’assenza di vendetta e cioè il perdono del "porgi l’altra guancia". Tale linea maestra ha guidato Gesù anche > nel caso della lapidazione dell’adultera e dell’accettazione di Matteo.
Cosa c’entra il linguaggio? I farisei e il popolo avevano introiettato la legge mosaica come "verità" assoluta dando cioè al significato delle parole un senso "letterale" che invece non avevano. Per loro la legge della lapidazione era immodificabile e non si poteva derogarne se non facendo "peccato".
Questo è il rischio che sempre si corre quando non si è in grado di assimilare lo "spirito" della parola. Per inciso tutti i fondamentalismi hanno questa pericolosa tendenza all'interpretazione letterale.Diceva infatti S.Paolo (2Cor 3,6) che la parola uccide lo spirito.
E’ l’errore che si compie quando si assumono giudizi su altre fedi o persone basandosi su alcuni erronei assunti. Nel mondo cattolico si tende a dire che ad esempio il Buddhismo è una filosofia atea, sbagliando sia nel primo che nel secondo giudizio. Infatti il Buddhismo è anche una filosofia, ma è soprattutto una pratica spirituale con un corpus dottrinale assai complesso che ha norme, concezioni trascendenti, vie di ascesi e anche dei. E inoltre sbagliata nella seconda perché il Buddhismo non ha mai affermato di esser ateo, che è posizione prettamente filosofica, ma non prende posizione sull’argomento in quanto lo considera fuorviante sulla via della liberazione. La posizione del Buddhismo sull’Assoluto è il silenzio, che non significa affatto "non aver nulla da dire" o peggio "affermare esplicitamente che Dio non esiste".
Allo stesso modo nel mondo islamico si definiscono Infedeli coloro che non si riconoscono nell’Islam, ma il titolo di infedele è quanto di meno certo si possa considerare in questo campo. Chi è infedele? Chi non prega 5 volte al giorno verso La Mecca, o chi ruba uccide e mente? L’infedeltà a Dio la può giudicare solo Dio stesso che conosce il cuore di ognuno e che sarà l’ultimo giudice come il testo biblico stesso afferma, nell’ultimo giorno. Nessun uomo può quindi dare la patente di infedele ad un altro essere umano.
Allo stesso modo nel mondo buddhista c’è chi dice che il Cristianesimo è teista e in questo i Cristiani stessi concordano, ma Gesù dice farete cose più grandi delle mie e, anche, io vi ho fatto conoscere il Padre come io l’ho conosciuto, azzerando di fatto il differenziale tra creatore e creatura e predisponendo un uomo nuovo "divino" . "Voi giudicherete gli angeli" è scritto nel Vangelo.
Molte cose ancora potrebbero essere portate in evidenza, ma il punto è che la nostra fede nel significato delle parole è molto mal riposto. Occorre cogliere le sfumature della parola, vederne le contraddizioni e le inaspettate similitudini, DIFFIDANDO della nostra ragione, vero satana orgoglioso, che crede di padroneggiare la realtà attraverso il velo opaco ed opacizzante della parola.

21/07/11

LA MENTE CHE MENTE


Siamo sempre (o quasi sempre) convinti che le cose che pensiamo, sentiamo, che originano dal nostro “interno” sia in un certo qual modo, quello che noi “siamo”.
E’ cosa davvero comune pensare che le nostre concezioni, pulsioni, desideri, opinioni, siano quello che “noi” siamo.
Diciamo agli amici….”sai io sono fatto così. Queste cose non le sopporto, mi fanno davvero …arrabbiare” ah, sai io amo visceralmente quella musica, quel posto, quella persona…
Ah guarda se potessi farei questo, farei quello, andrei la’, mi comprerei questa cosa, mi ritirerei in meditazione ecc.
Non è così? Non siamo forse sicuri di essere “noi” tutte quelle cose?
Poi….passano gli anni e cominciamo a cambiare…idee, desideri, preferenze, cose che amiamo e che odiamo…..
Ma se eravamo noi allora, cosa siamo ora? Siamo ancora “noi”?
Probabilmente molti risponderebbero di sì.
Ma allora perché eravamo diversi, prima? Beh, ti rispondono, ho fatto delle esperienze, ho vissuto ed ho capito che……
E, sì anch’io spesso mi esprimo così. Ma poi, riflettendo, capisco anche che grandissima parte delle “mie” convinzioni erano dettate dalle mie pulsioni del momento, dai miei obiettivi di quel momento della mia vita, ed ancora di più dalle mie paure, dal desiderio di evitare rischi che non volevo correre, come anche dettati da altri rischi che invece volevo correre.
Anzi, a volte scelte apparentemente coraggiose, erano bi-valenti e contenevano al loro interno paure da evitare.
La verità che è andata emergendo è che le scelte realmente consapevoli, di cui io avessi il pieno controllo, di cui il mio “io” aveva DAVVERO il controllo, semplicemente non esistevano.
Il fatto è che la massima parte di quello che noi chiamiamo “io” con grande autocompiacimento, è un agglomerato di forze a noi in gran parte sconosciute, a loro volta formatesi a causa degli influssi dei nostri primi anni di vita ed anche successivamente.

Ma come possiamo quindi riconoscere qualcosa come nostro, davvero?

Mi viene in mente quella battuta…smettere di fumare? Ma è facilissimo, l’ho fatto centinaia di volte!! Per capire se le “nostre” idee, preferenze, passioni, sono davvero nostre, dovremmo provare a rinunziarvi. Se la cosa ci riesce facile, fluida, allora sono davvero nostre, ne abbiamo il controllo.
Se invece per rinunziarvi entriamo in tensione, soffriamo, andiamo in crisi, è segno certo che, pur essendo convinti che “quella” è una nostra caratteristica, al contrario essa è un processo mentale che vive a nostre spese, come un parassita, come un virus dentro il nostro computer-mente che si nasconde, che ci fa SEMBRARE di esserne padroni, mentre ci sta schiavizzando.

Allora, chi siamo davvero noi?

Noi/io/tu, siamo quella parte che è in grado di ri-conoscere che quella parte di noi/io/tu NON è il vero noi/io/tu.
Quella “parte” sono le onde di superficie, che cambiano con il vento, ma che durano lo spazio di un mattino. Impermanenti come direbbe il Buddha.
Tu invece sei l’osservatore, eterno ed intoccabile, come l’oceano profondo.

11/07/11

SOMIGLIANZE CASUALI?


MATTEO 19,16-22

"Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna? Egli rispose: Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti. Ed egli chiese: Quali? Gesù rispose: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre,ama il prossimo tuo come te stesso: Il giovane gli disse: Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora? Gli disse Gesù: Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi. Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze".


SAN GIOVANNI DELLA CROCE

Per giungere a gustare il tutto, non cercare il gusto in niente.
Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente.
Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente.
Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente.
Per venire a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi.
Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai.
Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove ora niente hai.
Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove ora non sei. »


BUDDHA

Il Buddha iniziò la sua predicazione enunciando le famose Quattro Nobili Verità che danno la spiegazione dell’origine della sofferenza.

Esse sono:
La verità della sofferenza
La verità dell’origine della sofferenza
La verità della cessazione della sofferenza
La verità del sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza

1. La prima verità è che la vita è sofferenza.
2. La seconda verità è che esiste una causa della sofferenza ed è l’attaccamento all’esistenza stessa.
3. La terza verità è che è possibile mettere fine alla sofferenza eliminando l’attaccamento.
4. La quarta verità è che esiste la via dell’eliminazione della sofferenza e dell’attaccamento ed è l’ottuplice sentiero che rappresenta il Dharma (la legge) del Buddismo.


UNA SOLA E' LA VERITA' ANCHE SE LE DIAMO DIVERSI NOMI.