19/01/12

CULTO ED INTERIORITÀ


Spesso in svariate occasioni e contesti si è sollevata la questione della storicità dell'esistenza di Gesù e della storicità/attendibilità del Vangelo.

L’argomento della supposta non esistenza di Gesù ha in sé una finalità, che non voglio certo definire scorretta o illecita, ma anzi legittima, di far conseguire che se venisse provata la non esistenza di Gesù, la religione cristiana sarebbe falsa e quindi nulla.

Beh, a prescindere dall’esistenza di Gesù, tale sillogismo è fallace.

Certo, molti tendono a considerare il Cristianesimo come la affermazione di Gesù come Messia e Salvatore e di Uomo risorto e figlio di Dio, della stessa natura di Dio. E questo e non altro qualificherebbe il Cristiano.

Voglio essere qui chiaro sul mio punto di vista. Se così fosse il Cristianesimo sarebbe un mero fatto di opinione. Quando infatti io credessi che Gesù è il Messia e il Risorto, sarei, ipso facto, cristiano.

Ma ciò non è ciò che i Vangeli affermano.

Infatti sono molti gli episodi in cui la sottolineatura va al comportamento reale e più ancora alla interiorità del "credente".

Si ricordi, ad esempio, l’episodio del centurione (Matteo 8:6–8:12)

"Signore, il mio servo giace in casa paralitico e soffre moltissimo".Gesù gli disse: "Io verrò e lo guarirò". Ma il centurione rispose: "Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anche io sono uomo sottoposto ad altri e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: "Va'", ed egli va; e a un altro: "Vieni", ed egli viene; e al mio servo: "Fa' questo", ed egli lo fa". Gesù, udito questo, ne restò meravigliato, e disse a quelli che lo seguivano: "Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande! E io vi dico che molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori. Là ci sarà pianto e stridor di denti".)

Come si vede l’appartenenza ad una "chiesa" e ad una tradizione, conta poco o nulla. Proprio perché l’interiorità è ciò che conta.

Ancor più esplicita è la famosa frase "non chi mi dice Signore, Signore entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio" e la volontà del Padre è "che vi amiate gli uni con gli altri"

Per farla breve il Cristiano non é colui che frequenta la chiesa che va a messa la domenica ecc., ma colui che segue l’insegnamento di Gesù.

Ma d’altro canto cosa significa seguire Gesù?

Significa con ogni evidenza raggiungere la capacità di armonia con i propri simili che lui ha predicato. Ma questa capacità può essere anche di un buddhista, di un ebreo, di un musulmano o di un induista.

E allora ciò che dovremmo chiedere a noi stessi è: che cosa ci impedisce di raggiungere questa capacità di essere in armonia? Forse dovremmo cominciare da lì? Se riuscissimo a vedere le cose da un punto di vista più sostanziale e meno formale molti ponti verrebbero costruiti, no?

17/01/12

LE SEI FASI DEL DESIDERIO - APPROCCIO PRELIMINARE AL PECCATO ORIGINALE


In realtà tutto ciò che vogliamo fare nella vita, tutto ciò che desideriamo ottenere, ciò a cui miriamo, è in effetti parte del nostro desiderio di vivere, della nostra sete di vivere, in altre parole dei nostri scopi, del motivo per cui veniamo al mondo. Di fatto la sete è il motore della nostra esistenza, ciò che ci consente di perseguire i nostri scopi e i nostri desideri. Ci poniamo cioè degli obiettivi da raggiungere e tali obiettivi, generano, alimentano, indirizzano, la nostra sete di esistere.

Si badi bene che la sete di esistere non necessariamente include evidenti aspetti negativi in sé: il grande pianista, lo scrittore di successo, il grande campione sportivo, il grande manager, i grandi nomi della scienza, della filosofia, della religione, ed anche ovviamente le persone "normali" con le loro normali passioni, non sono certo iatture universali come i grandi dittatori che hanno seminato morte e distruzione nei secoli.

Ciò non toglie, però, che di fatto sono anche queste ultime, seti di esistenza, anche se con scopi diversi.

2.4. Le sei fasi di creazione del desiderio


La sete di esistere è comune a tutte le persone, sia, per ora esprimiamoci così, per scopi "buoni" che per scopi "cattivi". Il quesito di fondo che ci stiamo ponendo é: esiste qualcosa che stia al di sotto della sete e che cioè la origini, ne sia la causa, o aveva ragione il Buddha, affermando che essa stessa è per così dire, costituente sé stessa? Il punto in discussione non è di pura filosofia, ma ha anzi fondamentali conseguenze sul piano esistenziale di tutti noi, come risulterà evidente se continuerete a leggere.

Se infatti la causa della sofferenza fosse la vita stessa, non esisterebbero molte alternative: occorrerebbe rinunciare a desiderare di vivere per estinguere la sofferenza.

Le cose forse non stanno proprio così.

Procediamo con ordine e logica nell’analisi.

Gli scopi sono creati dai desideri, o sono gli scopi che fanno nascere i desideri ?

Nasce prima l’uovo o la gallina? Se il desiderio nascesse prima dello scopo, avremmo, per così dire, un desiderio indeterminato; infatti come può esservi un desiderio senza scopo? Manca con tutta evidenza "la ragione per cui" il desiderio esiste: per essere soddisfatto. Come si può soddisfare un desiderio non formulato da uno scopo da raggiungere? In altri termini, "sotto" il desiderio vi è lo scopo: infatti se si inverte il processo e la sequenza, la logica ci supporta ed è immediatamente più chiara: prima nasce lo scopo (dal greco:skopos= bersaglio), poi il desiderio di raggiungerlo. Ad esempio prima viene presentata l’automobile da comprare, proponendovi lo scopo=bersaglio , poi nascerà (forse) il desiderio di comprarla, e poi (forse) si attueranno una serie di azioni per raggiungere lo scopo e quindi soddisfare il desiderio.

Appurato che esiste una sequenza in cui gli scopi vengono prima dei desideri, esiste però ancora un’altra domanda: come nascono gli scopi/bersagli?

Se gli scopi sono logicamente anteriori ai desideri, cosa fa nascere uno scopo? Anche qui la domanda può sembrare un po' capziosa, pignola, ma dalla corretta comprensione di questi processi, dipende direttamente la risposta del perché del dolore nel mondo.

Lo scopo/bersaglio/obiettivo, è in definitiva un’intenzione che viene definita sulla base di un’esigenza che chi formula lo scopo ha prima avvertito: lo scopo nasce come conseguenza di un’analisi di una situazione che offre come risultato dell’analisi stessa una mancanza/esigenza che dev’essere colmata. Rimanendo all’esempio dell’automobile, come risposta ad uno stimolo pubblicitario, la persona può effettuare un’analisi (non importa se di tipo conscio o inconscio, razionale o emotivo) che la può portare alla conclusione che sì, ha bisogno di quel tipo di automobile. L’analisi che porta a questa conclusione può essere molto razionale ( è spaziosa, va bene per la famiglia, ci sta anche il cane, è robusta e affidabile) oppure molto emotiva (ci faccio una figurona con i colleghi, faccio colpo sulla ragazza, ecc.) ma porta comunque alla definizione di un’esigenza che prima non era stata formulata.

Risulta quindi evidente che viene prima l’analisi, poi l’esigenza, poi nasce lo scopo; successivamente il desiderio di raggiungerlo, quindi l’azione per raggiungere lo scopo ed infine il raggiungimento dello scopo.

Nel caso dell’acquisto dell’automobile, abbiamo prima l’analisi del messaggio pubblicitario, poi la scoperta o constatazione dell’esigenza e/o della mancanza dell’auto, poi lo scopo di comprare l’auto, poi il desiderio di avere l’auto, poi l’azione per raggiungere lo scopo (ad esempio risparmiare i soldi necessari), poi il raggiungimento dello scopo, cioè l’acquisto.

Sono quindi individuabili sei momenti fondamentali per comprendere l'anatomia del processo della creazione della sete che è alla base di tutte le azioni degli uomini (buone o cattive); essi sono:

1. l’analisi (puro processo razionale)
2. l’esigenza (è il risultato dell’analisi)
3. lo scopo (è il momento nativo del desiderio ma è ancora un processo razionale)
4. il desiderio ( è il momento emotivo, è l’energia mentale che si accumula in vista dell’azione)
5. l’azione
6. il raggiungimento

E’ importante rendersi conto che il processo in sei fasi vale sempre quando si valuta l’origine del pensiero, delle motivazioni, delle azioni degli uomini; sia quando si tratti di intenzioni "buone", sia quando si tratti di azioni "cattive".

(dal II° capitolo de "la psicoanalisi del Buddha e il peccato originale")

16/01/12

IL PARADOSSO DEL SANTO


Nella storia della Cristianità si sono sprecati i racconti e le pubblicazioni delle vite dei santi…dai più famosi a quelli meno…S.Agostino. S.Francesco, S.Teresa d’Avila, S. Giovanni della Croce ecc.

La cosa che maggiormente contraddistingue la “santità”cristiana dal “guruismo” orientale è che nelle spiritualità orientali viene sottolineata la divinità dell’uomo e il guru è normalmente considerato una “manifestazione” della divinità…mentre nella “santità” cristiana l’accento è messo sulla natura peccatoria dell’uomo e sulla “nullità” del peccatore di fronte a Dio. Mentre nella spiritualità orientale abbiamo che anche il maestro si ritiene un tutt’uno con il divino, nel mondo cristiano c’è invece la sottolineatura della distanza abissale tra l’uomo imperfetto e il Dio perfetto.

Perché? Sono davvero due mondi inconciliabilmente distanti? Dicono cose davvero diverse?

No.

La sostanziale differenza è che si usano espressioni opposte per dire la stessa identica cosa, ma come spesso accade, il linguaggio è ingannatore.

Nella spiritualità orientale c’è una presa di coscienza del fatto che l’evoluzione spirituale porti gradualmente a contatto con realtà spirituali sempre più elevate, e quindi questo si concretizza nell’assunzione di una vicinanza che poi in alcuni casi diventa fusione, con la divinità.

Il Cristianesimo invece, che parte dall’assunto che esista un Creatore esterno, un Assoluto, un Signore dell’Universo, porta a ritenere che le esperienze spirituali, peraltro simili a quelle del guru orientale, siano di provenienza divina e che Dio si manifesti in base alla umiliazione e purificazione spirituale del devoto.

L’approccio cristiano sembra apparentemente diminutivo ed umiliante del valore del devoto, e del credente in generale, rispetto alla glorificazione del guru in oriente,ma è solo cattiva osservazione ed ancora eccessiva fiducia nell’universalità ed oggettività del linguaggio.

Infatti la cosa che non viene mai considerata, è che il linguaggio è portatore di due caratteristiche di base: il significato oggettivo della parola usata e il suo portato emotivo, cioè il suo significato soggettivo.

Infatti se si considera ad esempio una frase come “io non valgo nulla”, la maggior parte delle persone ne avrà una percezione negativa e depressiva, soprattutto se tale idea è davvero presente nel subconscio della persona che l’ascolta.

Ma non di meno la percezione depressiva di una frase come quella citata, è dovuta alla generale percezione che sia necessario valere, e valere tanto, per sentirsi ”a posto”. Ma questo modo di intendere la propria persona è esattamente quel modo dualistico che viene così robustamente e costantemente additato dal pensiero orientale, il quale sottolinea, praticamente in tutte le tradizioni, che il dualismo bene-male va superato e cancellato EMOTIVAMENTE dalla propria mente.

Ma se riteniamo che non sia auspicabile pensare in termini dualistici, e sia necessario uscire dai concetti di bene e male, non dovrebbe disturbare più di tanto l’idea che pensare male o bene di se stessi non sia così importante, ma che sia invece importante quale “emozioni” concetti così opposti si portino dietro. Per dirla in una battuta: occorrerebbe essere assolutamente felici sia che si pensi di essere una nullità di fronte alla grandezza divina ( anche Sri Aurobindo lo pensava) sia che si pensi di essere parte stessa della divinità.

Questo significherebbe andare oltre il linguaggio ed oltre il dualismo.

Si può dire così.

Mentre l’Oriente parte dal basso per arrivare all’alto attraverso un processo di purificazione e conoscenza, l’Occidente cristiano parte dall’alto ( della superbia e dell’orgoglio, dell’alta considerazione di sé e della propria posizione nel mondo) per poi scendere, attraverso la devozione al Divino, alla bassezza della propria commiserazione. Questo lo fa diventare un percorso difficile, più difficile del primo, quello orientale, dove la miseria diffusa e il senso di precarietà hanno instillato un naturale senso dell’umiltà e quindi la scoperta della conoscenza spirituale colma le vallate dell’inadeguatezza e “rialza” lo spirito, mentre il secondo, quello occidentale, obbliga alla compressione dell’io fino al suo sgretolamento nella consapevolezza del peccato e dell’imperfezione, spianando le montagne dell’orgoglio. In entrambi i casi l’obeittivo è arrivare alla strada piana

Il punto di arrivo è lo stesso. La consapevolezza che l’io nulla può fare per mettere le cose “a posto” e che occorre Altro da lui..e che lui stesso deve eclissarsi per fare Posto alla Verità. Il vuoto mentale dell’Oriente è riempito dall’occidentale amore divino che in Oriente è vuoto e contemplazione. Illuminanti a questo riguardo sono gli scritti di S. Giovanni della Croce che danno un’idea evidente della vicinanza spirituale.

Per cui il paradosso di un santo cristiano che si considera peccatore è dato dal fatto che nel momento in cui egli ACCETTA questa sua condizione di ineluttabile inadeguatezza giungendo alla felicità nel suo essere una nullità, nello stesso momento se ne libera, sganciandosi dall’esito delle sue aspettative spirituali ed assurge, paradossalmente e senza accorgersene, al ruolo di “bodhisattva”.

13/01/12

LA CAUSA DEL DOLORE


Abbiamo affermato come sia le esperienze di dolore fisico che le esperienze di dolore mentale, siano entrambe responsabili dell’insorgenza dei disturbi mentali; ciò che però è sembrato mancare è la radice comune, la genesi per così dire, che possa spiegare la causa di fondo. Cosa c’è di comune ?

Per quanto riguarda i gravi disturbi causati dagli shocks fisici violenti, essi hanno in sé un contenuto chiaro ed univoco: rappresentano un punto di alto rischio per la sopravvivenza dell’organismo della persona;

Un'ipotesi che ci ha guidato è stata la seguente: se nei casi più evidenti grande importanza è da attribuire all’alto rischio di sopravvivenza, non può darsi che lo stesso fattore sia presente anche nella sofferenza mentale per così dire “normale”?

In realtà esiste una causa comune nella genesi della sofferenza mentale.

IL LIVELLO DELLE ASPETTATIVE E LA SOFFERENZA MENTALE

Un esempio che ci può aiutare nel mettere a fuoco il problema è dato dalle depressioni psichiche. In questi stati psichici ci si ritrova sempre con una diminuita voglia di vivere: la vita non ha più senso, è considerata orribile, non degna di essere vissuta; spesso è alle porte anche un desiderio di suicidio, visto dal depresso come unica via di uscita dal suo stato di sofferenza.

In realtà gli elementi che indicano un collegamento con il concetto di sopravvivenza sono abbastanza evidenti: la sofferenza mentale, così come evidentemente quella fisica, hanno in sé connaturato l’impoverimento della qualità della vita che il sofferente sta sperimentando; ciò in concreto significa abbassamento del tono di vita in generale e quindi avvicinamento alla condizione di non sopravvivenza; tale condizione per giunta si autoalimenta a livello mentale, spingendo così la persona verso una situazione sempre peggiore.

Nella depressione ad esempio abbiamo, dapprima un evento che la persona vive come preclusivo delle sue personali aspettative sulla vita, poi abbiamo il radicamento nella mente della convinzione che le precedenti aspettative non possano essere ripristinate, quindi l’affioramento della depressione come inaccettabilità della nuova situazione esistenziale; a questo punto entra in azione la spirale discendente alimentata dalla consapevolezza della persona del suo stato di sofferenza da cui non riesce ad uscire, portando quindi il soggetto ad essere depresso per essere depresso e ad essere depresso per i disturbi fisici e mentali che questo stato emotivo comporta.

Alla base di questo ciclo della sofferenza vi è in realtà un’aspettativa di vita che viene percepita dal sofferente come non più realizzabile; tale presa di coscienza determina un’idea di rischio di non sopravvivenza. In termini schematici abbiamo un percorso di questo tipo:

- evento "negativo"
- caduta delle aspettative previste di vita
- convinzione della impossibilità di mantenere il precedente livello di aspettativa
- non accettazione della nuova situazione
- depressione
- depressione per lo stato depressivo e per l’incapacità di uscirne
- spirale discendente e cronicizzazione dello stato

La maggior parte di noi affronta la vita con determinate aspettative, o se le crea strada facendo. Ci aspettiamo prima di tutto la salute, poi riteniamo perfettamente normale aspettarci di essere amati dalle persone che amiamo, ci aspettiamo poi di incontrare l’amore con la A maiuscola, inoltre noi stessi desideriamo essere eccezionali, unici, intelligentissimi, originali, ricchi, colti, eccetera.

Forse stiamo un poco esagerando è vero, ma siamo sinceri, non siamo poi così lontani dalla verità sulle nostre elevatissime aspettative sulla vita.

Questi (od altri) livelli di aspettative vengono però il più delle volte pesantemente disattesi; a volte possiamo serenamente accettarlo nel nostro intimo, e allora i danni sono minimi, ma altre volte non ce la facciamo, si rompe qualcosa al nostro interno e diciamo ”no, questo no”. Possono essere cose gravissime come la scomparsa di persone vicine, la morte di un figlio, gravi infermità, cose cioè che non rientrano in quanto noi siamo normalmente disposti ad accettare nel nostro inconscio. Oppure possono essere situazioni apparentemente più leggere, come una delusione amorosa, un tradimento di un amico, qualcosa che però alla persona che lo subisce appare insopportabile.

Questo è un aspetto interessante, da tenere ben presente: situazioni diverse, eventi di gravità molto diversi, possono produrre gli stessi effetti mentali, mentre eventi simili non sempre causano uguali reazioni e danni.

Ciò è dovuto al differente livello di aspettative che le persone hanno nei confronti della vita.

...Un aspetto interessante, da tenere ben presente è che situazioni diverse, eventi di gravità molto diversi, possono produrre gli stessi effetti mentali, mentre eventi simili non sempre causano uguali reazioni e danni.

Ciò è dovuto al differente livello di aspettative che le persone hanno nei confronti della vita.

La caduta delle aspettative che, consciamente o inconsciamente, abbiamo circa la nostra vita, ha a che fare con il nostro concetto di sopravvivenza. Nel caso in cui l’evento sia fisicamente perturbativo, tutte le menti, tendenzialmente reagiscono in modo simile: è oggettivamente il rischio di sopravvivenza fisica che è in gioco. Quando invece l’evento è completamente nella sfera mentale, è soggettivamente coinvolta l’idea della qualità della sopravvivenza. Questa soggettività investe l’idea stessa di come deve esser la vita della persona.

CIÒ CHE CI ASPETTIAMO DI REALIZZARE È IN REALTÀ CIÒ CHE HA POTERE SU DI NOI.

da "LA PSICOANALISI DEL BUDDHA E IL PECCATO ORIGINALE" di Elitheo Carrani

CIÒ CHE CI ASPETTIAMO DI REALIZZARE È IN REALTÀ CIÒ CHE HA POTERE SU DI NOI


Nella misura in cui desideriamo avere certe cose, raggiungere certi risultati, diventare ciò che sogniamo di diventare (ricchi, laureati, dirigenti, belli, ammirati, sposati, amati, eccetera.) siamo in potere di questi desideri, fino a quando non siano stati soddisfatti o fino a quando non si cessi di desiderarli.

Probabilmente alcuni, si sentiranno colpiti da queste considerazioni: ”come, dovrei rinunciare a desiderare quella posizione professionale, quella persona, quell’auto, quel denaro? Ma non riuscirei più a vivere! Che senso ha la vita senza un obiettivo? Che gusto ci sarebbe?”

In realtà le cose non stanno proprio così: l’idea di non riuscire a vivere senza impellenti desideri è appunto un’idea, nulla di più che un’idea.

Provate a pensare ad un desiderio che non avete: se per esempio non vi interessa diventare un musicista, vi sentite forse tristi o insoddisfatti o infelici rispetto all’idea di non diventare musicisti? Influenza in qualche modo il vostro stato d’animo? No, vero?

Provate a seguire questa situazione simulata, e forse la cosa vi sembrerà più chiara.

Immaginate di fare una tranquilla passeggiata nel verde di un piccolo parco in una bella e fresca mattina di primavera; immaginate di prendere in considerazione l’idea di diventare (se in realtà non vi interessa) un valente violinista, e di prendere in considerazione il concetto che non ci riuscireste mai: la cosa vi sconvolge? Vi sentite turbati, tristi, infelici? Forse non vi accorgete più della bella giornata che vi circonda? Non apprezzate più la freschezza della brezza mattutina? Non apprezzate più il verde dei prati intorno a voi? No, in realtà non cambia il vostro stato d’animo, e non venite turbati affatto, perché quell’idea non è un vostro desiderio, una vostra pulsione, una vostra passione . Rimarreste comunque sereni e contenti.

Volete una controprova? Provate a seguire quest’altra “simulazione”.

Provate a pensare a qualcosa che volete realizzare e a cui tenete molto, moltissimo; qualcosa che “avete nel sangue”, che rappresenta per voi tantissimo: ipotizziamo che sia qualcosa che riguarda solo voi stessi e non qualcuno della famiglia, che sia cioè qualcosa che soddisfi il vostro ego, poniamo per esempio che sia la vostra promozione a quella posizione di responsabile a cui mirate da tanto. Bene, siete lì che state passeggiando nel piccolo parco, tranquilli e di buon umore, godendovi la giornata splendida. Anzi la giornata è ancor più splendida perché state pensando che nel lavoro state andando bene e che il capo in testa vi “vede” bene. Quel posto di responsabile è vicino, davvero vicino. Ad un tratto un pensiero, una considerazione, una cosa che vi era sfuggita: avete improvvisamente ricordato che il capo in testa che decide della vostra promozione, ha appena avuto un figlio e sua moglie, che risiede in un’altra città, ha sempre protestato per la vita da pendolare che fa il marito; e lui circa un anno fa, a quel pranzo, vi aveva confidato che se avesse avuto un figlio, lui avrebbe scelto di stare vicino a sua moglie e l’avrebbe finita con quella vita; aveva già dei buoni agganci presso la sua città e avrebbe lasciato l’azienda.

Ma se questo accadesse il suo posto lo prenderebbe quel tirapiedi dell’altra divisione che non vi può vedere! E se questo accadesse, a quel posto che spetta a voi ci andrebbe il suo pupillo! Pensereste: sono fregato! Quello diventerebbe il mio capo, ed io rimarrei dove sono adesso.

A questo punto pensate che riuscireste ancora a godervi la giornata? Riuscireste ad accorgervi ancora della bella fresca mattina e del piccolo parco in fiore?

QUESTO È IL POTERE CHE IL LIVELLO DELLE ASPETTATIVE HA SULLA PSICHE.

Da "LA PSICOANALISI DEL BUDDHA E IL PECCATO ORIGINALE" di Elitheo Carrani

12/01/12

LA MENTE IMPERMANENTE


E' molto difficile accorgersi che i nostri processi di pensiero, sono solo espressione di una macchina che si chiama mente con la quale ci immedesimiamo. Non riusciamo a vedere che le nostre convinzioni, i nostri valori, le nostre idee, cambiano con il tempo e che nulla o quasi resta di ciò che credevamo e pensavamo anni prima. Continuiamo a pensare che il nostro "io" sia ciò che pensiamo allo stesso modo in cui ci identifichiamo con un corpo che invece cambia. Quando , per caso, ci capita di accorgerci che ciò che siamo è "l'osservatore" dei propri pensieri e che la mente è solo uno strumento, cominciamo a capire l'impermanenza della realtà e che esiste il "Permanente" "l'immutabile" E' in questo momento che si creano le condizioni, da un lato, per una vera conversione e dall'altro per una liberazione dalla schiavitù della psiche.

E però, questo passo di chiarificazione è elemento di base per una corretta applicazione della DSE (Deprogrammazione Semantico Energetica). Quando infatti la natura impermanente della mente e dei pensieri risulta chiara alla comprensione, e si radica nella certezza, si può con maggior leggerezza affrontare le paure, le angosce, le rabbie, gli scoramenti, che la mente ci propina continuamente non potendo più fare l'errore di considerarle "vere" e soprattutto "nostre". Questo aspetto, che nella DSE è chiamata "dissociazione" è l'unica vera "realizzazione concettuale" che viene richiesta per l'uso della tecnica.

11/01/12

LA FILOSOFIA DI MATRIX - Neo si sacrifica per salvare Zion - finale

Questo è il video del combattimento finale tra Neo e Smith nell'ultimo episodio di Matrix. E' interessante notare il simbolismo gravido di significato che gli autori hanno dato alla trilogia e specificatamente a queste scene che vi propongo. Il terzo episodio è la visione filosofica cristiana dell'opera cinematografica, così come la prima era chiaramente buddhista, e la seconda apertamente razionalistico-scientifica. Nella parte finale del terzo episodio, Neo va nel mondo reale ad incontrare in mondo delle macchine e ad offire ad esso la "risoluzione" del problema Smith, un programma sw originariamente creato per operare come agente delle macchine che in seguito allo scontro con Neo alla fine del primo episodio, si "scollega" dal mondo delle macchine per operare in modo autonomo al suo interno e cominciare a replicarsi in modo incontrollato. Tale comportamento, chiaramante da virus, crea un problema allo stesso mondo delle macchine che rischiano l'estinzione. Neo si propone come il risolutore della grave minaccia, e in cambio chiede la pace tra le macchine e gli uomini. La "mente" delle macchine acconsente al patto e collega Neo a Matrix per far sì che questi riesca nell'intento. Da qui parte poi lo scontro con Smith che vede Neo alla fine, dopo un evidente parità di forza ed energia ed una situazione di stallo, apparentemente perdere, ed essere assorbito da Smith.
Durante tutto il combattimento il corpo di neo, nel mondo reale, è disteso con le braccia aperte, in chiaro rifeimento culturale alla crocefissione del Cristo. Al momento dell'apparente sconfitta di Neo che apparentemente si trasforma in Smith, si vede chiaramente che il corpo fisico di Neo trasfigura in luce accecante e questa luce entra in Matrix e disintegra tutti gli Smith. Qui il significato è palesemente cristiano. Il sacrificio di Neo attraverso la sua apparente sconfitta, in realtà si concretizza nel completo assorbimento dell'energia negativa e distruttiva dei molti Smith (raffigurazione del molti "ego" che rifiutano l'Unità, sia con le macchine che con gli uomini), che vengono quindi "trasformati" in luce dall'energia "salvifica" di Neo (l'eletto). Il riferimento cristiano viene vieppiù sottolineato dalla espressione della "mente" delle macchine che afferma solennemente "è compiuto" rimandando palesemente alla frase di Gesù stesso sulla croce che dice prima di morire "tutto è compiuto". L'effetto di questo sacrificio è molteplice: le macchine si ritirano da Zion e la guerra finisce, ma soprattutto cambia radicalmente anche Martix stessa che si ripulisce e diventa una sorta di paradiso digitale, rimandando anche qui all'escatologia cristiana della "fine dei tempi". Gli autori quindi affermano che pur riconoscendo la validità del risveglio attraverso la consapevolezza (la pillola rossa del primo film) e la superiorità dell'amore passionale rispetto al calcolo del potere (secondo film con resurrezione di Trinity, altro nome evocativo), la via della salvezza passa ancora per il sacrificio e il martirio inteso come dono disinteressato di sè, mettendo il Cristo crocifisso al vertice dei valori spirituali (Elitheo Carrani)

10/01/12

VINCERE LE ANTIPATIE


Le nostre preferenze, inclinazioni, convinzioni, senso estetico, danno il taglio e la struttura del nostro carattere. Ciò provoca inevitabilmente l'avversione a ciò che non ci piace e questo include modi di essere e di pensare di comportarsi di altre persone. Cionondimeno inclinazioni, convinzioni, senso estetico sono tutte cose non permanenti che possono cambiare e infatti cambiano. Questo è ciò che in effetti determina le avversioni e i contrasti: temporanee e mutevoli idee. Solo chi riesce ad andare oltre le preferenze riesce a superare l'avversione. Ma non è facile. Capire comunque che ci sono altre visioni del mondo ed accettarle, aiuta molto nel trovare maggior serenità....accettare anche ciò che si ritiene "sbagliato" è via maestra per la pace.

IL PERICOLO DI ADERIRE A IDEE DI PERFEZIONE


Il pericolo insito in uno sforzo di aderire a idee di perfezione può farci cadere in uno stato di frustrazione, ma il fatto di autoconvincersi di essere nel bene è di per sè un errore. Lo è oggettivamente in quanto l'attaccamento al nostro ego e alle nostre passioni e desideri è formidabile al punto tale che Gesù a chi gli diceva che era buono rispondeva: perchè mi dici che sono buono? Uno solo è buono ed è il Padre mio che è nei cieli. E al giovane ricco che secondo la legge mosaica, rispettava tutti i precetti disse: se vuoi essere perfetto và vendi tutto ciò che hai e seguimi. E questo è anche il peccato dei Farisei, la convinzione di essere nel giusto, di avere ragione, ci rende arroganti e l'ego si gonfia, compreso nella sua pretesa superiorità morale e intellettuale. (e.c)