07/02/12

LA NATURA DEL PENSIERO: IL PENSIERO POSITIVO E IL PENSIERO NEGATIVO


Uhmmm…forse ho esagerato nel titolo? Beh vediamo se riesco a dire qualcosa di adeguato. Sapete bene quanta importanza si dia al pensiero positivo… L’esortazione a “vedere” in rosa, il potere di far accadere le cose, the secret, la legge di attrazione, se vuoi, puoi ecc ecc.

Come sapete io invece esorto a fare gli speleoologi di noi stessi alla ricerca delle cose che non vanno per eliminarle. Mentre molti consigliano di andare verso l’alto, io consiglio di scendere verso il basso. Apparentemente due modi opposti di vedere il percorso di crescita-

Qualcuno avrà voluto vederci una mia avversione al pensiero positivo, ma non è davvero così, davvero no. E’ un po’ più complesso.

Prima di tutto dovremmo chiederci cos’è il dolore e cos’è la felicità, Sarebbe argomento titanico ma io sono un brutale semplicione e semplificatore e la riduco a questo. E’ dolore tutto ciò che indipendentemente da quello che sia davvero, noi lo “classifichiamo” tale. E’ piacere o per meglio dire gioia, tutto ciò che noi la classifichiamo tale. In poche parole la mia posizione è l’esaltazione della soggettività.

Ora cosa stabilisce che una cosa sta nella casella “buona” e l’altra sta nella casella “cattiva”? Risposta secca: noi, solo noi.

Infatti se ad esempio parliamo di un rapporto affettivo che si rompe, può essere classificato nella casella “disgrazia” se noi volevamo che il rapporto continuasse, ma lo metteremmo senza indugi nella casella “fortuna” se volevamo che la storia finisse. Ah beh, ovvio.., no? Mica tanto. Perché le ragioni per cui noi possiamo volere l’una o l’altra cosa sono assai diverse e soggettive. Si può volere che finisca perché ci siamo innamorati di qualcun altro o perché l’altro/a si è innamorato/a di qualcun altro, quindi due ragioni opposte che generano la prima gioia perché si pensa al rapporto nuovo e la seconda dolore perché si pensa al rapporto perso (sto volutamente tralasciando il travaglio che tali scelte procurano comunque perché mi interessa l’esempio in generale).

A loro volta le persone che prima erano in coppia ora sono separate, possono trovare altri partner con cui andranno benissimo e per cui spesso è un problema di relazione tra due persone e non un problema di solo uno dei due.

Quindi ciò che noi riteniamo “buono” un altro lo ritiene “non buono”.

Ma cosa avviene a livello del pensiero? Cosa è il pensiero?

Noi pensiamo secondo il linguaggio. Non siamo capaci di pensarne senza. Ma il linguaggio non è il pensiero, ma una rappresentazione del pensiero. Se penso “quel semaforo è verde” potrò crearmi un’ immagine del semaforo verde ed associerò l’idea di positività all’immagine perché verde significa poter passare senza fermarsi. Già. Ma se a quel semaforo c’è anche una concessionaria che espone la macchina che mi voglio comprare, allora il verde non lo considererò più “buono”, perché non mi permette di fermarmi a guardarla.

Attenzione perché l’esempio non è affatto banale. E ci dice molto sui processi mentali. Il dolore e la gioia sono esclusivamente dati dalle nostra classificazioni di ciò che è Bene e di ciò che è “Male”, ma anche questi due concetti sono convenzioni!

Essere soli è quasi sempre considerato fonte di dolore. Perché circola insistentemente questa idea che la solitudine sia una cosa negativa e tutti “assorbiamo” questo modo di valutare la cosa. Ma se andiamo a valutare quante volte la vicinanza di altre persone non sia stata affatto gradevole e consolante (attenzione all’uso subdolo del linguaggio….qui io uso la parola “consolante” e con questo inserisco in voi la suggestione inconscia che chi è “da solo” abbia bisogno di consolazione. Voi non ve ne saresti accorti se non avessi aperto questa parentesi, ed io avrei così rafforzato il senso comune che “solitudine è “male”) ci rendiamo conto che moltissime volte avere vicino qualcuno è più una disgrazia che una fortuna.

Quindi il pensiero, ed in particolare il pensiero “emotivo” è in realtà completamente condizionato dalle nostre classificazioni. Non c’è nulla di oggettivo.

Tornando al pensiero positivo, se mi dico “ tu sei forte e ce la farai” uso appunto il pensiero positivo, ma questo “pensiero” ha in sé il suo doppio negativo che è “ tu sei debole e non ce la farai”. La mia classificazione non è affatto cambiata….continuo a tenermi dentro un modo diviso di vedere le cose. Se invece mi dico “tu sei debole e non ce la farai” e riesco a far diventare questa paura un “niente”, sarò libero dalla paura di perdere e dal desiderio di vincere che è l’altra faccia della medaglia..ma se giungo a questo non avrò più necessità di essere “vincente” per essere contento, perché non esiste più l’eventualità che mi può rattristare, cioè l’essere perdente. Se considero la “perdita” una cosa assolutamente insignificante o addirittura utile (tempo fa postai la famosa frase di Edison che giunto al 1000esimo fallito tentativo di fare la lampadina disse: “ Conosco mille modi in cui non si deve fare”) non avrò più nulla che mi possa rattristare.

In fin dei conti, i concetti di vittoria e sconfitta, visti da vicino sono solo parole di 7 e 8 lettere. Quando si riesce a vederla così la libertà è vicina. Garantito.

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